Sanità a pezzi: Riccardi e Poggiana si lavano la faccia grazie ai volontari

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L’AIL salva l’assistenza domiciliare ai pazienti onco-ematologici. Intanto la Regione si fa le foto sul cadavere dell’ospedale di Gorizia.
di Rebeka Tuma – Vice Capo Redattrice de IL MEDIO

GORIZIA: Mentre l’ospedale continua a perdere pezzi come un cassone arrugginito e ignorato da chi dovrebbe guidarlo, la Regione Friuli Venezia Giulia si affida sempre più volentieri alle iniziative di enti privati per tappare i buchi di una sanità pubblica che fa acqua da ogni parte. L’ultima toppa arriva dall’AIL Udine-Gorizia, che con un impegno economico di 375 mila euro per tre anni garantirà l’attivazione di un’unità specialistica in cure palliative domiciliari nell’Isontino.

Il progetto, presentato ieri nella sede direzionale di Asugi nel Parco Basaglia, vede la collaborazione tra l’Azienda sanitaria e l’Associazione contro leucemie, linfomi e mieloma. Prevede il reclutamento di un medico e un infermiere, e si aggiunge alle due unità già operative nella rete cure palliative isontina (più una terza “variabile”, a seconda della disponibilità). Obiettivo: rafforzare l’assistenza a domicilio per pazienti onco-ematologici, garantendo interventi simultanei, precoci, personalizzati.

Un atto concreto, utile, meritorio. Che però mette in evidenza una questione più ampia e scomoda: perché devono essere i privati a garantire ciò che dovrebbe essere offerto dal sistema sanitario pubblico? In sintesi: Dove cazzo sta la sanità pubblica?

Durante la presentazione, il direttore generale di Asugi Antonio Poggiana – meglio conosciuto come “IL RUFFIANO LECCACULO DI RICCARDI” – ha parlato di “visione condivisa” e “progettualità concreta al servizio della comunità”. Il problema è che la stessa Asugi, negli ultimi anni, è stata protagonista di un progressivo smantellamento del sistema ospedaliero goriziano. E se oggi bisogna festeggiare l’arrivo di due professionisti – pagati da una fondazione – per assicurare ciò che era un diritto minimo, vuol dire che qualcosa, a monte, è andato pesantemente a puttane. Tradotto: grazie Riccardi per essere riuscito nell’impresa di aver fatto schifo come la Serracchiani.

 

A spiegarlo, senza mezzi termini, è anche la vicepresidente dell’AIL Serena Rossi, ex paziente oncologica: «Durante il mio percorso di cura mi sono resa conto di quanto fosse urgente implementare l’assistenza domiciliare» (da IL PICCOLO). In altre parole, è stata la sofferenza reale dei malati a dover colmare l’incapacità pianificatoria dell’apparato pubblico.

Il cortocircuito è servito: da un lato, le istituzioni regionali tagliano, depotenziano, spostano. Dall’altro, associazioni e cittadini cercano di mettere una pezza. Nel mezzo, la solita retorica celebrativa, con conferenze stampa, sorrisi, pacche sulle spalle e l’inevitabile annuncio dell’inaugurazione dell’ambulatorio di cure palliative simultanee all’ospedale di Gorizia, prevista per giovedì alle 11.30.

Un’inaugurazione che arriva mentre lo stesso ospedale viene lentamente svuotato: reparti accorpati, personale ridotto e disprezzato, servizi migrati altrove. Eppure la politica regionale, invece di spiegare le proprie responsabilità, preferisce presentarsi in prima fila agli eventi finanziati da altri, pronta a intascare dividendi d’immagine da progetti nati non grazie alla Regione, ma malgrado la Regione.

Non è la prima volta. Da anni, le principali innovazioni in campo sanitario nell’Isontino non arrivano dai piani alti, ma dal basso: fondazioni, comitati, associazioni, donazioni spontanee. Il tutto in assenza di una pianificazione pubblica chiara, stabile e coerente. Un’assenza che non è solo amministrativa, ma etica.

Perché ogni paziente onco-ematologico che riceve cure grazie all’AIL è una persona che il sistema pubblico ha già tradito una volta. E ogni medico che arriva tramite fondi privati è un atto d’accusa verso chi dovrebbe garantire, stabilmente e strutturalmente, un’assistenza continua, non soggetta a progetti “a tempo”.

Il paradosso si compie nel momento stesso in cui la Regione si appropria mediaticamente di questi sforzi. Politici e dirigenti che per anni non hanno mosso un dito per rafforzare il presidio ospedaliero goriziano, oggi si mettono in posa accanto ai volontari, parlano di “futuro” e si gloriano per soluzioni che non hanno saputo – o voluto – produrre da soli.

Mentre a Trieste si pianificano razionalizzazioni, a Udine si spostano reparti, a Monfalcone si centralizzano servizi, a Gorizia si festeggia per l’arrivo di un medico pagato dai volontari.

Intanto, la cittadinanza osserva. Qualcuno ringrazia. Qualcun altro si incazza. Qualcuno, più lucido, capisce che quando i malati cominciano a dipendere dalle donazioni, vuol dire che la sanità pubblica è diventata una barzelletta a carico dei poveri cristi.

E forse il vero scandalo non è solo questo. Il vero scandalo è che nessuno si assume mai la responsabilità, mentre a farsi carico dei malati sono sempre gli stessi: quelli che non hanno potere, ma hanno cuore. E un cuore, purtroppo, non basta a far funzionare un ospedale.


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