Despar e patriarcato: la campagna che relega la donna a sguattera consacrata.

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Sessantacinque anni di tricolore, grembiuli e sottomissione: Despar riscrive la storia della donna… tra una fettina di mortadella e l’altra.

di Redazione

Nuovo scandalo tra i banchi refrigerati.“1960 o 2025? Stessa donna, stesso grembiule, stessa sottomissione.” Così titolano i primi post indignati rimbalzati nelle galassie arcobaleno della rete, che nelle ultime ore stanno bersagliando la nuova campagna pubblicitaria della Despar. Il colosso della GDO ha deciso di celebrare 65 anni di attività con un’immagine che, secondo attivisti LGBTQIA+, collettive transfemministe e influenti woke di TikTok, rappresenta una regressione culturale mascherata da nostalgia.

L’immagine della vergogna patriarcale

L’immagine mostra, fianco a fianco, due donne: una nel 1960 in bianco e nero, l’altra nel 2024 a colori. Cambia l’uniforme, ma non la sostanza. Entrambe sorridono, entrambe indossano la divisa, entrambe stanno chiaramente servendo. Nessun uomo, nessuna diversità, nessun accenno a famiglie arcobaleno, corpi non conformi, identità fluide, cassieri drag o manager con la coda di cavallo e lo smalto glitterato. Solo la cara vecchia figura femminile che accoglie e compiace, come da manuale della destra sociale postdemocristiana.

 

Per i paladini dell’inclusività, la Despar ha fallito l’esame di contemporaneità: altro che progresso, qui si ripropone l’ideale della donna angelicata del dopoguerra, solo con luci LED e banco salumi refrigerato.

Dure le reazioni online: “Sessismo in alta risoluzione”, “Per loro 65 anni di storia = 65 anni di stereotipi” o ancora “Ogni giorno la destra ci ricorda che ci vuole sorridenti, silenziose e col grembiule”.

Alcune associazioni annunciano azioni dirette: boicottaggio simbolico di carrelli pieni lasciati alla cassa, flash mob queer in corsia 6 (reparto surgelati), letture collettive di Judith Butler davanti agli ingressi e, ovviamente, una lettera indignata firmata da 47 sigle con asterischi.

La Despar per ora tace, forte forse del fatto che nessuno degli indignati comprava comunque lì. Ma una cosa è certa: il supermercato, da zona neutra della spesa, è diventato nuovo campo di battaglia culturale. E tra salumi e scaffali, il patriarcato si è nascosto meglio del prezzemolo.


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