Dalla droga al vermut, dai baci ai blitz fiscali: Gina Lava disseziona la morte erotica-sociale di una via che fu vagina urbana e oggi è solo lapide col codice QR.
C’era una volta Via Mazzini. E non era una favola: era una gangbang sentimentale con le mutande strappate e il rossetto che colava fino alle tette. Via Mazzini puzzava di fritto, sigarette mezze spente e saliva con retrogusto di Negroni. Era il bordello aristocratico di una Gorizia che ancora sapeva sbattere le chiappe senza chiedere permesso.
C’era “La Berta”, mica quella merda da food blogger. No, quella che ti faceva il caffè talmente buono che ti tremavano le ovaie C’erano i negozi veri, mica le vetrine di Zara per zombie col conto in rosso. Il tatuatore era un serial killer emozionale: ti bucava la pelle e ti cuciva i traumi. La drogheria sapeva di sudore maschio, sapone al muschio e vermut da impiccagione. La Antonini era pornografia scolastica, dove si compravano quaderni e si fantasticava sulle supplenti in minigonna.
E oggi?
Oggi c’è il vuoto pneumatico. Ma non quello zen da meditazione: proprio il nulla col cazzo molle. Vetrine tappate, aria da film porno postatomico, e silenzio… quel silenzio schifoso che sa di resa. Passi che risuonano come il battito cardiaco di una città in coma. Mancano solo i topi col poncho e Clint Eastwood che ci spara addosso con lo sguardo.
Chi ha ucciso Via Mazzini?
Un po’ tutti: Dalla crisi economica alla “caduta dei confini”. Dalla necrosi sinaptica dei goriziani a scelte folli delle amministrazioni. E, dulcis in fundo, come una ciliegina rancida su una torta alla merda, lo Sceriffo Strapagato, che invece di usare le multe per punire i veri reati (tipo chi mette l’ananas sulla pizza), ha trasformato il centro in una zona di guerra fiscale. Multa su multa, fino a che pure le vetrine si sono suicidate.
E GO!25?
La resurrezione promessa, la pomiciata culturale con la città. E invece? Una sveltina tra vecchi tromboni e rampolli raccomandati. Una fiera della cultura dove l’unica cosa viva è il buffet. I soliti noti a mangiare, gli altri a guardare le briciole sul pavimento. Siamo passati dal “capitale della cultura” al “capitale del clientelismo”. È diventato il banchetto di amici, parenti, parenti degli amici e amici dei parenti. I SEMPREQUEI che ingrassano come cinghiali in autunno, mentre il resto della città muore di fame. Di cultura, di socialità, di speranza.
Via Mazzini oggi è una lapide chic. Una pietra elegante, profumata di nostalgia marcia. Una messa in piega sulla bara di Gorizia. Il monumento funebre che ricorda la morte, in un epoca lontana, di un parente stretto che ci era stato tanto caro Nessuno ha avuto le ovaie (o le palle) per salvarla. Troppa fatica, troppi cazzi, troppa verità.
E sapete che vi dico? Le lapidi non si limonano. Non si accarezzano. Non si scopano. Le lapidi si visitano, si piangono… e si lasciano lì, al freddo.
Via Mazzini, mi manchi come mi manca un orgasmo vero dopo anni di fidanzati di sinistra.
Mi manca il tuo caos lubrificato, le mani sulle cosce, i baci al caffè, la risata sguaiata.
Ora sei solo un monumento al rimpianto.
E a me il rimpianto non ha mai fatto godere.
Mi eccita solo la rivolta.
Con veleno, lubrificante e rossetto sbavato,