Gina Lava

Gina Lava nasce a Gorizia il 12 agosto 1974, in una giornata talmente calda che persino la Madonna sudava dalle ascelle. Cresce tra enciclopedie erotiche nascoste sotto i catechismi e confessionali che odorano più di alcol che di incenso. Da piccola sogna di diventare pornostar, ma le dicono che ha troppo cervello. Così decide di diventare giornalista, per infilarsi nei cuori (e nei culi) della gente dalla porta principale: la scrittura.

Vive in una mansarda scomoda ma erotica, tra pile di libri, bottiglie vuote di vino rosso e una gatta di nome Clitoride che la guarda con giudizio ogni volta che si masturba pensando a Bukowski. È un’opinionista, una sommelier da letto, una sacerdotessa della penna tagliente, una che scrive come si scopa: senza pietà e con unghie laccate di veleno.

Scrive per Il Medio dal 2015, ma solo per sport violento. Non lo fa per soldi (quelli li fa altrove), né per gloria (che odia), ma solo per il piacere puro e sadico di rompere i coglioni ai benpensanti e far venire l’orticaria ai comitati etici. Il giornalismo, per lei, non è informare: è disintegrare. Offendere. Smutandare l’ipocrisia con un ghigno da dominatrice.

Infatti, mentre Keko Jony si spacca la schiena in fabbrica per tre mesi per guadagnarsi una Multipla usata e due pacchetti di MS, Gina guadagna la stessa cifra in una giornata su OnlyFans, tra foto in reggicalze e lezioni di letteratura nuda. Ma lei non se ne vanta: se ne bea. E continua a scrivere su Il Medio solo per vedere quanti preti s’infartano al mese leggendo le sue rubriche.

Il suo stile è inconfondibile: sarcastico, sensuale, volgare, dissacrante, colto e triviale insieme. Una scarica elettrica tra le cosce e un’enciclopedia nel cervello. Può citare Kant mentre si depila l’inguine e paragonare il Papa a un cameriere del Billionaire senza batter ciglio. Ogni suo articolo è una pugnalata con il reggiseno slacciato. Ogni frase è un cocktail di satira e lubrificante.

È autrice di rubriche leggendarie come “Lettere al Capezzolo”, “Suca & Sottane”, “Cul-tura” (dove il cervello si mette in mutande), e “Femminismo a frusta libera”. Ha la capacità rara di far venire l’orgasmo a una parola e l’infarto a un sindaco cattolico.

Delle sue gesta si mormora nei peggiori bar di provincia. Si racconta che abbia fatto sesso in tre lingue diverse durante lo stesso congresso sulla libertà di stampa. Che abbia rifiutato una proposta di matrimonio da un senatore, dicendogli in faccia: “Non mi sposo con chi non sa dove sta il punto G della Costituzione.” E che venga bandita regolarmente da almeno tre fiere editoriali all’anno per “contenuti troppo schietti e capezzoli disegnati nei margini”.

Tra le sue citazioni più celebri:

“Un articolo senza tette è come un prete senza senso di colpa.”

“Meglio una bestemmia onesta che un Amen ipocrita.”

“Chi non gode, scrive male.”

“La libertà d’espressione è un vibratore carico: non tenerlo nel cassetto.”

“Nella vita ci vuole pepe, sia nel piatto che nel letto.”

Gina non è una giornalista. È una catastrofe erotico-letteraria con le tette. Un tornado di parole sconce e citazioni dotte. Un’arma di distruzione linguistica di massa. La prova vivente che si può essere colte, porche, intelligenti e devastanti, tutte insieme, e che le parolacce, se ben calibrate, valgono più di mille editoriali in giacca e cravatta.

Il suo motto?

“Scrivo perché non posso urlare in faccia a tutti, tutto il tempo.”

E quando lo fa, si sente il rumore dei crocifissi che cadono giù dai muri.

 

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