Sanità goriziana al collasso: la fuga verso Šempeter è l’ultima trovata della politica.

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Ziberna, Fasiolo, Perazza e Vito cantano le lodi della Slovenia mentre l’ASUGI smantella Gorizia

Di Christian Zuttioni

GORIZIA – Mentre Nova Gorica, con un terzo degli abitanti e un centesimo di storia, si tiene stretto il proprio ospedale pubblico, dall’altra parte del confine Gorizia – città italiana, con storia, tasse, contributi, ticket sanitari e slogan tricolore – rischia di diventare un quartiere dormitorio di Šempeter. Altro che cooperazione sanitaria: qui si parla di resa totale, silenziosa, codarda.

L’articolo uscito ieri su IL PICCOLO, infarcito di retorica europeista e frasi da dépliant dell’Unione Intergalattica dei Sindaci Inginocchiati, mostra chiaramente il volto di una politica locale che ha mollato il colpo, e anzi lavora attivamente per accompagnare la sanità goriziana al cimitero. Con tanto di cerimonia transfrontaliera, naturalmente.

Ziberna e il PD: convergenze parallele nella svendita del territorio

Il sindaco Rodolfo Ziberna, un tempo uomo di centrodestra con piglio da amministratore di ferro, oggi sembra una fotocopia consumata di Debora Serracchiani sotto Lexotan. Frasi come “serve maggiore collaborazione”, “sinergie in ambito transfrontaliero”, “integrazione dei servizi” ormai non sanno più di niente, se non di resa politico-burocratica spacciata per modernità.

Insieme a lui, si accodano i soliti mestieranti della sinistra locale, gente come Adriana Fasiolo, Franco Perazza e Sara Vito, pronti a tutto pur di sembrare “progressisti” anche mentre la sanità pubblica goriziana si sfalda come una pastina nel brodo. Parlano di valore aggiunto, di accordi bilaterali, di accessibilità ai servizi… intanto l’ospedale di Gorizia perde pezzi come una Fiat Duna senza revisione.

Nova Gorica ha un ospedale. Gorizia ha i volantini del GectGo.

Il dato più comico – o tragico – è che Nova Gorica, città slovena creata nel Dopoguerra con criteri architettonici da socialismo reale e una popolazione da borgo, si tiene stretto il suo nosocomio pubblico. Gorizia invece, con la sua storia, le sue battaglie, le sue culle piene fino agli anni ’80, è oggi sotto sedazione. Ha un ospedale che pare una nave in disarmo e una classe politica che, invece di salvarlo, si affanna a indicarci la strada per Šempeter.

La scusa? La lingua. I protocolli. L’ottimizzazione. Il GectGo.

In realtà, si chiama SCARICABARILE. Perché salvare Gorizia costa fatica, serve visione, competenza, coraggio. E loro hanno solo la bava alla bocca quando si parla di fondi europei e tavoli tecnici, che non curano un cazzo ma danno un senso di importanza ai nullafacenti con la cravatta.

 

Šempeter non è la Svizzera. Ma per i politici goriziani è già il nuovo centro salute.

Parlare di sanità slovena come modello, per chi vive nel nord Italia, è come consigliare la permuta alla pari di una Mercedes del 2025 lievemente incidentata con una FIAT Panda del 1981. La sanità slovena non è da buttare, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del nord Italia. Solo chi non ci è mai entrato, in quegli ospedali, può raccontare la favola dell’efficienza transfrontaliera.

I cittadini italiani pagano le tasse per essere curati in Italia. Se devono sentirsi dire che “per certi servizi è meglio andare a Šempeter”, allora che cazzo servono la Regione, il Comune, l’ASUGI e tutto il caravanserraglio di manager sanitari e politici locali?

Il fallimento della politica sanitaria goriziana è completo. E nessuno paga.

C’è chi parla di “barriere linguistiche”, chi accusa la burocrazia, chi se la prende col centralismo triestino. Tutti hanno un alibi, nessuno una soluzione. Intanto l’unico reparto che funziona davvero a Gorizia è quello delle chiacchiere.

Anni di tagli, chiusure, fusioni. L’ASUGI è diventata una macchina elefantiaca utile esclusivamente a Riccardi. Gorizia è diventata la scusa perfetta per chi vuole decentrare i problemi e accentrare le risorse. E ora ci vendono questa disfatta come “un’opportunità europea”.

La verità è che la politica ha tradito Gorizia. Ha lasciato che l’ospedale agonizzasse. Ha taciuto mentre i reparti scomparivano. Ha applaudito quando si parlava di “integrazione sanitaria” invece di combattere per il diritto dei goriziani a essere curati a casa propria.

Basta pacche sulle spalle. Servono schiaffi!!!

A questo punto serve un risveglio brutale. Una ribellione civica. Una mobilitazione contro questa classe dirigente codarda, arrendevole, venduta. Basta con le dichiarazioni d’amore per la Slovenia quando c’è da salvare ciò che resta dell’Italia vera, quella che paga e pretende.

Chi vuole farsi curare in Slovenia, lo faccia pure. Ma non provino a obbligarci, col ricatto della chiusura progressiva. Difendere l’ospedale di Gorizia è una questione di dignità, di civiltà, di giustizia.

E che nessuno osi più parlare di “progetti europei” senza prima aver riaperto un reparto chiuso. Perché di Europa si può anche morire. Specialmente quando l’anestesista non parla italiano.


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