Analisi del naufragio annunciato del referendum con il sarcasmo di chi ha già stappato lo champagne al primo “remigrazione”. Un’epigrafe politica scritta dai meme di CasaPound e firmata con il dito medio degli astenuti.
Di Christian Zuttioni – Caporedattore Supremo de Il Medio
“Niente quorum, che delusione… nessuna cittadinanza, remigrazione.”
Mentre la sinistra si lecca ancora le ferite con cerotti arcobaleno e si dà pacche sulle spalle nelle chat Telegram dove ci si chiama “compa” e “bella zio”, qualcuno ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno. Anzi, di scriverle a caratteri cubitali su striscioni appesi in mezza Italia: quelli di CasaPound.
Sì, proprio loro, quelli che la sinistra ama odiare perché gli ricordano che esistono italiani a cui non piacciono le sanatorie, i permessi premio per chi pesta la madre a sprangate e il concetto stesso di cittadinanza regalata come se fosse una busta di indumenti usati della Caritas.
Quando la satira la fa CasaPound e la sinistra copia male
Questa volta, la battuta migliore l’ha fatta chi ha perso politicamente, ma ha vinto culturalmente. Mentre PD, M5S e soci invocavano i santi della partecipazione democratica per tirare su quattro gatti dalle panchine, la realtà li ha asfaltati: 30,06% di votanti. Il resto d’Italia se n’è sbattuto il cazzo.
Nel silenzio funebre delle urne, lo striscione di CasaPound suona come una risata fragorosa: “nessuna cittadinanza, remigrazione”. Una sintesi brutale, perfetta, e soprattutto condivisibile anche da chi non sa manco cos’è CasaPound ma è stufo di vedersi vendere come “integrazione” quello che spesso è semplicemente spaccio, degrado e moschee abusive a botte di cemento armato e finanziamenti loschi.
Vent’anni di buonismo buttati nel cesso
Il comunicato del movimento non lascia spazio a interpretazioni: “nemmeno con le lacrime strategiche in TV e gli influencer schierati” siete riusciti a smuovere gli italiani. E non perché siano diventati fascisti o brutti sporchi cattivi. Ma perché sono diventati incazzati, stanchi, disillusi.
Hanno capito che il trucco era sempre quello: buttare dentro un quesito marcatamente ideologico (quello sulla cittadinanza) travestendolo da riforma sui diritti del lavoro, per tentare il colpaccio: due milioni e mezzo di nuovi potenziali elettori da tirare per la giacchetta alle prossime politiche.
Peccato che l’abbiano sgamata tutti. Perfino mia zia Fernanda, 86 anni, badante moldava in casa e santino di Padre Pio sopra la televisione, ha detto: “’Sti qui mi vogliono fottere, non voto un cazzo.”
La nuova parola d’ordine: REMIGRAZIONE
Mentre la sinistra balbetta accuse preconfezionate (“le destre fasciste hanno boicottato il voto!” – no, coglioni, si chiama astensione consapevole), CasaPound rilancia con un concetto che sarà pure scomodo, ma è chiaro come l’odore di piscio “d’importazione” nelle stazioni italiane: REMIGRAZIONE.
Sì, quella parola che fa venire i brividi agli editorialisti di Repubblica e i conati a quel coglione di Saviano, ma che milioni di italiani stanno cominciando a masticare con gusto, come il pane appena sfornato.
Non è odio. È constatazione. È osservazione del fallimento del multiculturalismo di cartone, delle periferie ridotte a zone franche, dei tribunali pieni di traduttori e dei carabinieri costretti a negoziare con ragazzini armati di machete che manco parlano italiano.
La sinistra ha perso. Punto.
Altro che “democrazia partecipativa”. Altro che “strumento dei cittadini”. Questo referendum è stato un boomerang grattugiato sulle chiappe del PD, che ora gira con la sciarpa lunga per coprire le ustioni. Volevano un plebiscito per il progressismo d’importazione, e si sono ritrovati con un funerale senza fiori né prediche.
Anche perché la gente, di cittadinanze facili e retoriche stantie, non ne può più. Sente la parola “integrazione” e pensa a bivacchi fuori dal Lidl, aggressioni sui bus, e ONG che piangono in TV mentre i sindaci firmano bandi da milioni per “mediazione culturale” e “inclusione narrativa”.
Il futuro? Non è un cazzo di TikTok con l’attivista che balla
Il fallimento del quesito cittadinanza è solo la punta dell’iceberg. C’è un’Italia che non parla più, ma ascolta. Che non manifesta in piazza, ma in silenzio manda tutto e tutti a fare in culo con l’arma più potente: l’astensione.
E se la sinistra pensa di cavarsela col prossimo giro di influencer in lacrime, cartoni animati della CGIL e “campagne di sensibilizzazione” nelle scuole, si prepari alla prossima batosta. Perché questa Italia si è rotta le palle. E ha appena imparato a dirlo senza urlare.
Con un semplice gesto: non andare a votare.