Duce o no Duce, è questo il problema? L’Espresso vomita l’ennesima cazzata e la sinistra goriziana si masturba

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La mozione di Picco e Sartori per togliere la cittadinanza a Mussolini è l’ultima pagliacciata della sinistra che, pur di rompere il cazzo a Ziberna, affonda anche GO!25
di Rina Passe

GORIZIA – Lunedì 11 novembre 2024. In aula comunale, due consiglieri dell’opposizione – Andrea Picco ed Eleonora Sartori – rispolverano Benito Mussolini come se fosse il jolly nel mazzo delle idee di merda.
La genialezzitudine? Revocare la cittadinanza onoraria concessa nel 1924.
Siamo nel 2024. Avrebbero potuto angosciarsi per il centenario con una grigliata partigiana, una di quelle cazzo di pastasciutte antifasciste, invece l’hanno trasformato in un campo minato diplomatico, storico e culturale.

Perché – inutile girarci attorno – questa mozione non c’entra un cazzo con l’indignazione da antifascismo. È un missile terra-aria diretto contro Rodolfo Ziberna e soprattutto contro l’unico progetto europeo che sta funzionando davvero: Nova Gorica – Gorizia Capitale della Cultura 2025.

La dinamica è ormai collaudata: non sai cosa proporre?
Tira fuori Mussolini.
Non hai progetti da difendere?
Tira fuori Mussolini.
Non sai nemmeno dove cazzo si trova la Slovenia sulla mappa?
TIRA FUORI MUSSOLINI.

La sinistra italiana – e quella goriziana ne è il clone più scassatovive ancora nella trincea del ’44, anche se a Gorizia i giovani nel 2024 combattono piuttosto con le bollette, l’affitto e il desiderio di scappare altrove.

Ma loro no. Loro hanno un sogno: sabotare Ziberna. E come lo fanno?
Con la stronzata più vecchia del repertorio “Left”: la firma di un morto sulla delibera del 1924.

Non si tratta di antifascismo, né di giustizia storica.
È una strategia chiara: creare attrito con Nova Gorica, innescare reazioni slovene, mandare tutto in vacca, far litigare chi collabora, far esplodere polemiche e sputtanare l’amministrazione in carica.
Il tutto, per dire poi: “Avete visto? Ziberna è un coglione… NO ALTRIS ve lo avevamo detto”.

Non sono revisionisti, sono piromani. E nel mucchio brucia anche la cultura.

A rincarare la dose, arriva l’associazione Agorè (quelli che espongono bandiere titine fuori dalla loro sede con la stessa naturalezza con cui si stappa una Moretti), che deposita un ricorso al TAR firmato dall’avvocato Michele Franciaviglia – nome che pare un personaggio de Il Signore degli Anelli ma scritto da Travaglio sbronzo e strafatto di Xanax.

Il ricorso si basa su una sentenza del 2018 che permette al TAR di valutare atti simbolici in contrasto con i principi costituzionali.
Tradotto: se domani il Comune avesse una targa a nome di Paperino, e qualcuno dicesse che Paperino è omofobo, potrebbero farlo rimuovere a colpi di codici e circolari.

 

Ma allora, cominciamo a fare pulizia per davvero.

Vediamo quanti nomi “di sinistra” campeggiano ancora nelle nostre città pur avendo alle spalle crimini, repressioni, connivenze e porcate storiche degne di un documentario horror:

  • Vladimir Lenin – fondatore dell’URSS, fece fucilare intere classi sociali. Presente in centinaia di strade italiane.
  • Josif Stalin – mandante diretto del massacro di Katyn, delle deportazioni siberiane e delle carestie indotte. Anche lui presente su lapidi, murales e festival.
  • Palmiro Togliatti – segretario del PCI, difensore a oltranza dell’URSS di Stalin. Intitolazioni ovunque: piazze, scuole, asili.
  • Ernesto Guevara “Il Che”– eroe da maglietta per molti, fucilatore professionista per chi ha letto almeno un libro.
  • Mao Zedong45 milioni di morti solo nel “Grande balzo in avanti”. In Cina lo chiamano “il Sole Rosso”. In Italia c’è ancora chi lo chiama “compagno”.
  • Antonio Gramsci – teorico del comunismo culturale. Nessun crimine diretto, ma santificato come intoccabile, anche se ideologicamente legato a regimi autoritari e a criminali comunisti.
  • Enrico Berlinguer – colui che definiva l’URSS “la nostra patria ideologica”. Nessuna piazza a suo nome è mai stata messa in discussione.
  • Tito. Josip Broz. Il BOIA DELLE FOIBE. L’unico a essere stato insignito della più alta onorificenza italiana: la GRAN CROCE AL MERITO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, conferitagli nel 1969. Sì: Tito, colui che fece infoibare migliaia di italiani, venne premiato dalla Repubblica. Oggi ha vie, busti, bandiere, centri sociali dedicati. E nessuno si azzarda a toccarlo, perché “complica il dialogo internazionale”.

Ma il Duce no. Il Duce è il problema.
Non perché rappresenti davvero un pericolo. Ma perché è facile da attaccare.
E soprattutto perché il suo nome fa comodo: è l’ultimo spaventapasseri rimasto a una sinistra senza raccolto.

Ed oggi c’è l’Espresso

Col suo solito tono da vedova in crociata, pubblica l’articolo di Sergio Rizzo sulla “vergogna fascista della cittadinanza a Mussolini”.
Impostazione grave, parole pesanti, grafica da incubo: manca solo un busto bronzeo di Almirante che piange sangue e la mummia di Gramsci che scende in campo.

Ma in tutto questo nessuno, MAI, si chiede:

“A qualcuno, fuori da ‘sto palazzo, gliene fotte uno stracazzo di qualcosa?”

Spoiler: no. Non gliene frega un cazzo a nessuno.
Perché la gente è impegnata a non finire sotto sfratto, a lavorare a tempo determinato fino ai 63 anni, e a capire se potrà ancora permettersi un caffè dopo Natale.

La sinistra goriziana è lo specchio sputato di quella nazionale:

  • vuota di contenuti,
  • ossessionata dal simbolico,
  • incapace di costruire,
  • e sempre, sistematicamente, a boicottare quello che funziona.

Ziberna ha portato a casa una delle poche cose buone del secolo, un progetto condiviso con una città straniera – fino a ieri NEMICA –  un’occasione culturale e diplomatica senza precedenti.
E invece di festeggiare, gli mettono la bomba nel cesto dei panettoni.

Perché il vero nemico, per certa sinistra, non è il fascismo. È il successo altrui.

Non si tratta di togliere o no una cittadinanza simbolica.
Si tratta di smetterla di usare la storia come manganello politico, mentre il presente affonda nella merda.
Si tratta di difendere ciò che funziona, non perché lo fa Ziberna, ma perché serve alla città, ai cittadini, al futuro.

E invece? Invece Gorizia è costretta a farsi notare per una polemica da quarta elementare con retrogusto di moquette anni ’30.

Picco e Sartori avranno anche sollevato un dibattito, ma con il tatto di un bradipo sotto acido.
E se davvero vogliono fare antifascismo, comincino a battere i fascismi moderni, quelli che vogliono zittire, escludere, controllare e umiliare. Quelli che vanno in piazza con spranghe e bastoni, quelli che non fanno parlare gli scrittori nelle università…

Il calcolo e semplice e se non ci arrivate, continuate a leggere L’ESPRESSO


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