Quando l’amore finisce, ma il ridicolo comincia: inculata dal marito, dall’amante e dal giudice.
di Gina Lava
Gradisca d’Isonzo. Una storia d’amore, tradimenti incrociati, milioni da spartire e un amante conteso come un posacenere vintage all’asta. Il tutto condito da una sentenza della Cassazione che, se non fosse vera, sembrerebbe scritta da un ubriaco in astinenza da YouPorn. Ma tranquilli: è tutto (quasi) falso.
Protagonista della vicenda è Loredana V., 43 anni, ex estetista, oggi imprenditrice dell’anima altrui, che ha tentato di farsi strada verso un divorzio d’oro con una trovata degna di una Soap su Canale 5. Stanca del marito, il facoltoso imprenditore Ernesto M. (61 anni, appassionato di “bird watching” e pignoramenti), decide di mollarlo ma scopre che, a causa di accordi prematrimoniali firmati quando ancora si facevano le coccole, le spettano solo le briciole a meno che non dimostri che il coniuge la tradisce.
La signora, più furba che esperta di codice penale, prende lo smartphone del marito, sblocca WhatsApp con l’impronta del piede sinistro mentre lui dorme dopo una grappa al pino mugo, e inizia a scorrere le chat.
Il colpo di scena arriva alle 3:42 del mattino. Tra cuoricini, aubergine e vocali ansimanti, scopre che Ernesto la tradisce sì, ma con il suo amante personale, Roberto T., 39 anni, ex idraulico e attuale massaggiatore tantrico freelance con sede legale a Lignano Sabbiadoro.
Sconvolta ma illuminata, Loredana si precipita dall’avvocato e chiede il divorzio con le seguenti pretese:
– la villa principale in zona Ronchi;
– 5 delle 7 case al mare (con preferenza per quelle “vista tramonto”);
– 4 case in montagna su 5 (escludendo quella con i camosci rumorosi);
– metà precisa del patrimonio coniugale, pari a € 3.829.476,775 (perché i decimali sono importanti);
– la restituzione del suo amante (con risarcimento affettivo o sostituzione equivalente in buono Amazon).
Ma la Cassazione non si è fatta infinocchiare. In una sentenza che resterà negli annali del diritto demenziale, la Corte ha ribaltato tutto:
“L’accesso abusivo al sistema informatico del coniuge, ai fini di carpirne contenuti intimi, configura il reato di cui all’art. 615-ter c.p.” — si legge nella motivazione.
“La lettura non autorizzata dei messaggi costituisce anche violazione di corrispondenza ex art. 616 c.p.”
E infine: “La stupidità grave, benché non ancora codificata, è qui ravvisabile con chiarezza oggettiva e costante.”
Loredana è stata condannata a 7 anni, con pena accessoria di divieto di utilizzo di WhatsApp, Telegram, Messenger e piccioni viaggiatori fino al 2033.
Inoltre dovrà risarcire Ernesto con 124.000 euro per danni morali, più una bottiglia di Sassicaia 2016 che teneva per le occasioni serie.
Intervistato fuori dal tribunale, Ernesto si è limitato a dichiarare:
“Io volevo solo andare a pesca. E Roberto è bravo a tenere l’amo.”
Quanto a Roberto, si dice “confuso ma lusingato”. Pare stia valutando di mettersi all’asta su Vinted.
Nel frattempo, a Gradisca d’Isonzo si parla già di adattare la vicenda in una fiction RAI: con lo stesso titolo “Due corna, un messaggio e sette case al mare”, con Nancy Brilli nel ruolo di Loredana e un cameo di Alfonso Signorini in quello di Roberto.
Per ora, l’unica certezza è che in amore e in tribunale vince sempre chi legge le clausole, non i messaggi.