Referendum 8-9 giugno: una farsa da 400 milioni per creare nuovi elettori immigrati. Scopri perché NON votare è l’unico gesto di resistenza.
di Redazione
Si chiama referendum, ma è solo una fottuta operazione di marketing elettorale, travestita da partecipazione democratica. E ci costa pure 400 milioni di euro. In un Paese che ha ospedali senza ossigeno, scuole senza carta, pensioni da fame e carabinieri con le Panda scassate.
Il referendum dell’8 e 9 giugno è la versione istituzionale di una televendita notturna: slogan ad effetto, cause giuste agitate in faccia come santini, e una colossale inculata nella parte bassa della scheda elettorale.
Perché ogni tanto la sinistra italiana si sveglia e, tra una marcia per la pace e una conferenza sull’eco-trans-femminismo intersezionale, si ricorda che esiste ancora un popolo là fuori. Un popolo vero, che lavora, che fatica, che paga le tasse e che, purtroppo per loro, non li vota più!!!
E allora cosa fanno? Semplice: si inventano un referendum.
L’ultima genialata, l’ennesimo baraccone democratico impacchettato con Canva e retorica da terza media, è quello che andrà in scena l’8 e 9 giugno. Lo slogan è di quelli che piacciono ai buoni:
“Per un lavoro più giusto, più sicuro, più stabile.”
Bello, eh? Peccato che sia una presa per il culo colossale.
Dietro questa facciata da operetta sindacale si nasconde l’unico vero obiettivo di tutta l’operazione: la cittadinanza facile agli immigrati con lo scopo finale di “fabbricarsi” nuovo elettorato. Il resto – i punti sul lavoro, sulle tutele, sulla sicurezza – sono solo fumo negli occhi, scenografia da fiera del buonismo per distrarre i coglioni rincoglioniti dal rincoglionimento della propaganda.
I primi quattro punti: la presa per il culo perfetta
I promotori del referendum sventolano cinque proposte. Le prime quattro sono l’equivalente politico delle lucine natalizie: belle da vedere, ma non illuminano un cazzo.
1. Stop ai licenziamenti illegittimi
E grazie al cazzo. Lo slogan più inutile dell’universo sindacal-populista. I licenziamenti senza giusta causa sono già vietati da decenni: esistono leggi, sentenze, tribunali del lavoro, reintegri, risarcimenti milionari e cause che durano più di una guerra. Il datore che licenzia senza ragione finisce a gambe all’aria, con l’avvocato in casa e l’azienda a rotoli. Questa proposta, spacciata per battaglia sociale, è un insulto alla logica. È come proporre un referendum per rendere illegale l’omicidio o per garantire l’aria ai polmoni: propaganda ipocrita per coglioni col megafono.
E A NOI CI COSTA QUATTROCENTOMILIONI!!!
.2. Più tutele per chi lavora nelle piccole imprese
Pare una roba buona, eh? In realtà è una fottuta trappola. Le piccole imprese italiane arrancano già tra tasse da strozzino, scartoffie infinite e leggi scritte col culo. Aggiungere “tutele” vuol dire solo una cosa: più cazzo di burocrazia, più cazzo di costi, più cazzo di ispezioni.
Risultato? Mario chiude la sua cazzo di ferramenta e Lucia, che si spacca la schiena nel suo salone da parrucchiera 16 ore al giorno, è costretta a licenziare la dipendente che è con lei da 12 anni ed è l’unica che lavora in una famiglia con due figli adolescenti e il marito cassintegrato FIAT grazie agli accordi Landini- Elkann. E poi arriva il solito stronzo con la sciarpetta a dirci che “è colpa del neoliberismo”.
E A NOI CI COSTA QUATTROCENTOMILIONI!!!
3. Riduzione del lavoro precario
La “riduzione del lavoro precario” è la solita minchiata da volantino della sinistra da salotto. Sta lì, stampata a caratteri cubitali accanto a “pace nel mondo” e “più arcobaleni per tutti”. Ma come cazzo si fa? Nessuno lo dice. Perché non basta sventolare un cartello e gridare “basta precariato” per cambiare il mercato del lavoro. Serve un’economia che gira, imprenditori che non scappano, meno tasse del cazzo e meno burocrazia suicida. Ma a questi qua non gliene fotte una minkia: l’importante è sentirsi Che Guevara col diploma da geometra e il poster di Fratoianni nel cesso.
E A NOI CI COSTA QUATTROCENTOMILIONI!!!
4. Più sicurezza sul lavoro
Ennesima minchiata da volantino elettorale che non dice un cazzo. Tutti vogliono sicurezza, ma nessuno spiega come cazzo si fa. Zero proposte su più ispettori, più controlli, multe vere, formazione seria. Solo slogan di merda e post social col caschetto giallo, buoni per le stories dei politici da quattro soldi. Intanto si continua a morire di lavoro, ma tranquilli: l’importante è la foto col giubbotto catarifrangente. Finché la sicurezza resta solo una frase a cazzo su un manifesto, continueremo a contare morti.
E A NOI CI COSTA QUATTROCENTOMILIONI!!!
La memoria corta della sinistra: il caso Jobs Act
Ma sapete qual è il paradosso più schifoso? Questi qui oggi vogliono smantellare il Jobs Act. Lo chiamano “il mostro neoliberista”. Lo dipingono come il demonio che ha distrutto il lavoro stabile.
Peccato che nemmeno 11 anni fa – che per una legge è come dire IERI – erano loro a battersi il petto per difenderlo.
Era il 2014. Il premier era Matteo Renzi, l’uomo del gelato, delle slide e degli 80 euro. Il Jobs Act lo presentavano come la svolta. “Una sinistra che finalmente guarda al futuro”, dicevano.
E dietro a Renzi c’erano TUTTI. Dal PD alle minoranze progressiste, dalla Leopolda a Repubblica. Tutti lì a spellarsi le mani. Tutti lì a dire: “È una svolta storica.”
E adesso? Adesso si svegliano dopo un decennio di danni, e con la faccia come il culo dicono:
“Ops, ci siamo sbagliati. Votiamo un referendum.”
Sì, il Jobs Act è una legge di merda. Ma ce l’avete servita voi, ce l’avete venduta voi, ce l’avete inculata voi. E ora venite a chiederci un voto per cancellarla? Siete delle MERDE!!!
E A NOI CI COSTA QUATTROCENTOMILIONI!!!
Il vero obiettivo è il punto 5: la cittadinanza facile
E qui, signore e signori, arriva la coltellata finale, quella vera, quella che ti fa sputare sangue: il punto 5. Il resto – tutto il bla bla bla sul lavoro, sulla precarietà, sui licenziamenti – è solo la vaselina prima dell’inculata. Il vero obiettivo è infilare la cittadinanza facile agli stranieri. “Più integrazione con la cittadinanza italiana”, dicono.
Tradotto: cittadinanza italiana sventolata come un gratta e vinci, concessa con leggerezza, senza storia, senza lingua, senza un cazzo di niente. Ti basta un contratto part-time da rider, un certificato del corso di taglio e cucito per adulti, una dichiarazione scritta con ChatGPT in cui giuri che “ami l’Italia” e zac: sei cittadino.
È uno sputo in faccia a chi ha studiato la Costituzione, a chi ha fatto il servizio civile, a chi si è sbattuto anni per sentirsi davvero italiano. No, adesso basta una strizzatina d’occhio e ti ritrovi col passaporto italiano.
Perché? Perché la sinistra è alla canna del gas. Gli operai l’hanno mandata affanculo, i giovani seri la deridono, gli anziani la odiano e i vecchi comunisti, quelli delle lotte operaie, VOTANO MELONI. Gli restano solo gli unicorni del pride e gli influencer da TikTok. E allora? Allora inventano NUOVI elettori. Se non ti vota più nessuno, crea qualcuno che ti voti.
È una truffa. Una porcata. Uno stupro del concetto stesso di cittadinanza. E ce lo vendono col sorriso, tra arcobaleni e post del cazzo su Instagram.
NON ANDARE A VOTARE: è l’unica resistenza possibile
Se vai a votare, anche per dire “NO”, fai il loro gioco. Contribuisci al quorum. Rendi legittima questa manovra. Sei complice.
La vera risposta è solo una: RESTARE A CASA.
Non cedere alla trappola emotiva. Non fare il soldatino della democrazia finta. RESTA A CASA. Non per menefreghismo, ma per rabbia. Per lucidità. Perché questa è una truffa. Un’operazione di potere vestita da voto popolare.
Questo referendum è un cavallo di Troia
Un mezzo per trasformare l’Italia in un supermercato di cittadinanze. Se hai un minimo di rispetto per la tua storia, la tua identità, il tuo passaporto, il tuo lavoro… non votare. Ignora questi figli di papà travestiti da rivoluzionari.
TANTO A NOI CI COSTA COMUNQUE QUATTROCENTOMILIONI!!!
⛔I VAFFANKULO UNIVERSALI⛔
Vaffankulo ai referendum-truffa. Travestiti da diritti, sono solo strategie per rubare voti. Vaffankulo alla sinistra degli unicorni. Arcobaleni, TikTok e cazzate in salsa woke. Vaffankulo a chi dice “è una battaglia di civiltà”. È una battaglia per il quorum, coglione. Vaffankulo a chi vota per sentirsi partecipe. Sei solo il pollo nel pollaio della propaganda. Vaffankulo alla finta lotta al precariato. La precarietà non si abolisce coi post, ma con le fabbriche che funzionano. Vaffankulo ai politici col casco giallo in posa. Mentre la gente muore sul lavoro, loro fanno stories. Vaffankulo a chi dice “più tutele”. Tradotto: più tasse, più burocrazia, più fallimenti. Vaffankulo alla memoria corta. Sono gli stessi che volevano il Jobs Act e ora lo vogliono abbattere. Vaffankulo a chi vuole regalare la cittadinanza. Un contratto da rider non ti fa italiano. Vaffankulo all’Italia che vota con l’anello al naso. Il problema non è chi governa, è chi ancora ci crede.