Imprenditore operaio, uomo di fabbrica, morto da italiano vero. Costruì una fabbrica, l’Italia lo ripagò con l’oblio,.
di Christian Zuttioni
ATTENZIONE: Questo articolo è un elogio patriottico e incazzato, scritto con amore, rabbia e rispetto per un uomo vero: Carlo Vichi. Ogni parola è volutamente esagerata, satirica, politicamente scorretta e VERA. Se ti offende, è perché probabilmente fai parte di quella generazione di merdosi europeisti che pensano che “fare impresa” significhi aprire un canale YouTube o comprarsi follower su Instagram.
Non ci scusiamo per il tono, non chiediamo il permesso a Bruxelles e non ce ne frega un cazzo del “fact-checking”:
questo è un editoriale, non un verbale del Parlamento Europeo.
Tutti i VAFFANCULO sono autentici, testati in laboratorio, e conformi alla normativa morale de IL MEDIO:
L’unico quasi credibile con le notizie quasi vere.
Girando per il web, tra influencer minorenni che ti spiegano l’economia globale e gattini che cagano glitter, mi appare una reliquia: un MIVAR a tubo catodico. 28 pollici di puro orgoglio metalmeccanico italiano.
Mi si sblocca un ricordo che puzza di polvere buona e domeniche in famiglia: il mio MIVAR del 2000. Ancora funzionante fino a pochi mesi fa. Mai un guasto. Mai un fruscio. Solo immagine, suono e affidabilità.
L’ho buttato perché, dopo quasi VENTICINQUE ANNI di onorato e continuo servizio il mondo, questo mondo di merda schiavo dell’ipertecnologia, l’aveva reso “incompatibile”.
Ecco, il punto è proprio questo: non era il MIVAR a essere superato, era il mondo a essere diventato troppo stupido per meritarlo.
COS’ERA DAVVERO MIVAR?
Che tu sia cresciuto guardando i cartoni su una TV da 28 pollici o abbia preso la scossa montando un’antenna sul balcone, c’è un nome che non puoi non inchinarti mentre lo pronunci: Carlo Vichi. Uno che aveva capito tutto quando l’Italia ancora produceva, sudava, creava. Prima che l’Europa ci incatenasse al culto del cavillo, alla religione dei codici IBAN, alla follia del “non si può fare per direttiva UE”.
Carlo Vichi era un imprenditore con le palle. Altro che Elon Musk, altro che startup di merda con sede legale in Lussemburgo e anima nel cloud. Vichi faceva televisori IN ITALIA. Con operai italiani. A Milano. E per decenni ha combattuto come un leone contro il mercato globalizzato, contro l’invasione cinese, contro i figli di papà della Silicon Valley e soprattutto contro quella fogna di burocrati europei che, col culo appoggiato su poltrone strapagate anche da lui, gli spiegavano come non poteva più lavorare.
UN’AZIENDA VERA, NON UNA FINZIONE FISCALE
Mivar – Milano Vichi Apparecchi Radio – è stata l’ultima fabbrica italiana di televisori a resistere sul territorio nazionale. Mentre tutti delocalizzavano in Romania o facevano società “di servizio” alle Cayman, Vichi tirava avanti, testardo come una bestemmia al Parlamento Europeo, producendo TV con operai veri, che prendevano lo stipendio e non stock options.
Nel 1999, quando gli altri si piegavano ai diktat del WTO e del Mercato Unico, lui costruì un nuovo stabilimento a Abbiategrasso, con 12.000 metri quadri di impianti e l’idea fissa: “i televisori si fanno qua”. Peccato che intanto l’Italia firmava trattati che aprivano le gambe (e i dazi) a ogni cinese con un cartone pieno di plastica di merda con sopra stampata la scritta TV. E mentre Bruxelles discuteva sulla curvatura delle zucchine, Vichi combatteva una guerra vera, quella per non licenziare, per non svendere, per non morire.
UN IMPRENDITORE CHE FACEVA L’OPERAIO
Altro che Marchionne in giacca e cravatta. Vichi viveva nella fabbrica, parlava con gli operai, controllava i pezzi, accendeva i saldatori, sistemava i guasti. Quando diceva “produzione”, non intendeva grafici di PowerPoint ma ferro, plastica e fatica. Era un imprenditore d’acciaio con la voce impastata da toscano trapiantato a Milano, non uno yes-man con MBA a Londra.
E non ha mai voluto né sovvenzioni né aiuti di Stato: solo che lo Stato non gli rompesse i coglioni.
L’EUROPA L’HA UCCISO
Non è solo il mercato o il progresso che ha fatto fuori la MIVAR. È stata l’Europa. Con le sue norme, le sue importazioni selvagge, la sua idolatria per il low-cost straniero. Con le sue “libere concorrenze” che valgono solo quando fanno comodo a Berlino. Mentre la Germania faceva dumping con Bosch e Siemens, noi lasciavamo MIVAR a morire dissanguata, a produrre pezzi che dovevano costare di più solo per il fatto che erano italiani. Perché in Europa, se non sei tedesco, francese o lussemburghese, sei carne da sacrificio.
Carlo Vichi non è morto nel 2021: è stato assassinato lentamente da vent’anni di politiche industriali suicide, da governi inginocchiati alla Merkel, da premier che parlano più inglese che italiano e che di patriottismo non conoscono neanche la definizione.
UN PIANO PER L’ITALIA CHE L’ITALIA NON HA VOLUTO
Nel 2007, quando ormai tutti lo davano per finito, Carlo Vichi propose di trasformare lo stabilimento in scuola-lavoro GRATUITA per giovani tecnici. Sapete cos’è successo? Silenzio. Nessun governo, nessun ministro, nessuna task force del cazzo lo ascoltò. Perché in Italia se non sei Coop o Confindustria, puoi morire pure domani.
Aveva 3000 televisori invenduti, nuovi. E li regalava. LI REGALAVA cazzo, non svendeva a 99,99 su Amazon. Perché per lui un televisore MIVAR non era solo un oggetto, era un prodotto italiano, come un Grana Padano o una Lancia Delta HF. Cioè roba seria.
UN PAESE CHE MERITA L’OBLIO
Carlo Vichi è stato un eroe, e l’Italia non se l’è meritato. L’Italia lo ha lasciato solo. La politica lo ha deriso. L’Europa lo ha seppellito con le direttive, i codici doganali, la concorrenza sleale. La sinistra lo ha ignorato perché non andava alle cene bio-vegane, la destra se n’è ricordata solo per fare qualche selfie.
E oggi che siamo invasi da Samsung, LG, Xiaomi e altre multinazionali DI MERDA che ti spiano dal microfono mentre ti gratti il culo sul divano, nessuno si ricorda della MIVAR. Nessuno parla di un uomo che voleva mantenere l’Italia autonoma, capace di costruire e non solo consumare. Un uomo che oggi avrebbe mandato affanculo Amazon, affanculo Bruxelles e affanculo pure il mercato globale, se significava vedere disoccupati gli operai italiani.
EPITAFFIO PATRIOTTICO
“Finché respiro, non chiuderò la mia fabbrica.”
Carlo Vichi, un italiano vero. Uno che aveva capito. Uno che avrebbe meritato una statua in ogni città.
Invece gli abbiamo lasciato un necrologio su qualche giornale. Ma ora che siete qui, voi che leggete, andate a guardare se avete ancora in casa un vecchio MIVAR. Accendetelo. Anche se gracchia. Anche se è ingombrante.
Quel tubo catodico è più italiano di tutto il Consiglio dei Ministri messo insieme.
⛔️I VAFFANKULO UNIVERSALI™ ⛔️
Vaffanculo a Bruxelles, cimitero di sovranità e fabbriche. Vaffanculo al WTO, che ha permesso la svendita globale del lavoro. Vaffanculo agli economisti da talk show, che non hanno mai stretto un bullone. Vaffanculo ai governi italiani, complici e codardi. Vaffanculo agli imprenditori-fantasma, che producono in Asia e vendono in euro. Vaffanculo agli eurofanatici, ciechi davanti al fallimento industriale italiano. Vaffanculo alla sinistra dei centri sociali, che odia gli imprenditori anche quando sono operai. Vaffanculo alla destra da yacht, che tifa patria solo a parole. Vaffanculo ai giornalisti che parlano di green economy mentre comprano iPhone cinesi. Vaffanculo a chi ha dimenticato cosa vuol dire “fare l’Italia con il lavoro”.