Rock, Patria e adrenalina: in via Mazzini arrivano gli Ultima Frontiera e prendono a calci in culo la tristezza del centro
di Gina Lava
C’è chi celebra con il taglio del nastro, chi con il buffet freddo e due tartine tristi, e poi c’è chi – come La Tenace – decide che dieci anni di resistenza culturale nel cuore morente di Gorizia non si festeggiano: si detonano.
E se si deve far saltare la malinconia urbana come un diaframma incrostato dalla noia e dalla decadenza, non c’è medicina migliore degli Ultima Frontiera.
Il gruppo rock patriottico nato a Monfalcone nel 2001 ha trasformato via Mazzini in un campo di battaglia sonoro, tricolore e orgasmico.
Siamo al 24 maggio, e già questo dovrebbe bastare per far tremare qualche finestra.
Perché qui, a Gorizia, il 24 maggio non è solo la data di quel famoso “il Piave mormorava”, ma è il giorno in cui un intero paese entrava nel tritacarne della Prima guerra mondiale.
E oggi, nel 2025, mentre le Frecce Tricolori disegnano orgasmi patriottici sopra i palazzi e il Giro d’Italia taglia la città come un bisturi impazzito, La Tenace decide di fare l’unica cosa sensata: portare in centro la musica più viva, sporca, sincera e italiana che si sia sentita da anni.
LA TENACE: DIECI ANNI DI CULTURA CHE NON LECCA IL POTERE
Dimenticate i centri culturali grigi, burocratici e pieni di eco-socialisti col cardigan e la tisana allo zenzero.
La Tenace è un’altra roba.
È sudore, confronto, spettacolo e politica senza paraventi.
E quando decide di festeggiare un compleanno, non lo fa con le cartoline e la panna.
Lo fa con un concerto/sconcerto che rimbomba nei denti, nello sterno e nei pantaloni di chiunque abbia ancora un cuore che batte e un fegato.
Via Mazzini è deserta da anni. Nonostante sia a due sputi dal Municipio, sembra l’epicentro di un’epidemia: saracinesche abbassate, cartelli “Affittasi” che fanno rima con “Arrangiatevi” e una malinconia degna della Cecenia post-sovietica.
Ma sabato 24 maggio, qualcosa è successo.
ULTIMA FRONTIERA: IL RUGGITO CHE FA RISORGERE I VICOLI MORTI
L’arrivo degli Ultima Frontiera ha avuto lo stesso effetto del Vesuvio nel 79 d.C.: sopra la cenere, è tornata la vita.
Sul palco, Ilario: dietro la batteria, martellava come un ossesso posseduto da Thor e da Moana Pozzi insieme. Mattia, da Sacile: sei corde affilate come le unghie di Satana che ad ogni colpo di plettro sparava un misto di watt e disprezzo per i coglioni, il braccio armato DI NOTE degli Ultima Frontiera. Le sue sei corde non suonano: minacciano. Ogni riff è un colpo secco, chirurgico, che affonda nello stomaco come un coltello da macellaio. E poi lui, il cuore pulsante della band, il pilastro che tiene insieme la follia e la disciplina: Francone, il bassista. Non un semplice musicista, ma motore, collante, anima e colonna vertebrale del gruppo. Se gli Ultima Frontiera sono una famiglia — e lo sono — Francone è il fratellone maggiore che tiene a bada i folli, consola i disperati e prende a testate i pavidi e le teste di cazzo. Ogni nota che esce dal suo basso è una dichiarazione di guerra al grigiore. Ogni plettrata è un calcio in faccia al conformismo. Ogni linea di basso è un promemoria sonoro che l’Italia non è finita: sta solo dormendo incazzata.
Ilario: sangue sudore, legno e tritolo.
Difficile scegliere un momento preciso, ma se dovessi tatuarmi un ricordo sulla pelle, lo farei con Ilario che pesta quella batteria come se stesse trombando la dea bendata, la donna dei suoi sogni, la personificazione della patria in reggicalze rossi.
Il suo modo di suonare è pornografia ritmica, atti osceni in luogo pubblico col consenso universale.
Non picchia, scopa i timpani della gente con un ritmo che puzza di benzina e testosterone.
Note a 300 all’ora come pugni nello stomaco
Con i pezzi più noti del loro repertorio come “Arditi Sentieri”, “Figli di Enea” “Terra Rossa”, “Serata al Pub”, “Il Ballo dell’Antifà” e la evergreen “Birra Grande Subito”. Francone, Ilario e Mattia – formazione ridotta ma devastante – hanno svegliato con un pugno nello stomaco, fatto di melodie e martellate sul rullante, una via che ormai si è dimenticata cos’è la vita. Non è stato un semplice concerto, ma un richiamo all’identità, un urlo collettivo in faccia all’apatia. Canzoni che suonano come inni, testi che scavano, ritmi che spingono. Ogni nota un colpo secco, ogni strofa un’ossessione. In mezzo a un centro che ha dimenticato cos’è la vita, loro hanno riportato sudore, presenza, verità. Nessuna nostalgia, solo realtà sparata a tutto volume.
Per chi c’era, è stata una scossa. Per chi è passato distratto, una lezione. A Gorizia, per una sera qualcuno ha avuto il coraggio di tornare a vivere