Quando per “sentirti felice” dovevi essere un mix tra Lara Croft e Virginia Hall, Indiana Jones e James Bond se eri un maschietto
di Gina Lava
Sono nata nel 1974. Il che significa che ho avuto il mio primo turbamento sessuale guardando un boxer attillato nella sezione “Intimo Uomo” del Postal Market. Non un tutorial su TikTok, non una drag queen che mi spiegava l’anatomia fluida con un fallo in silicone su Twitch, non una lezione di educazione sessuale inclusiva con PowerPoint animati e la maestra vegana con l’ukulele. No. Io ho imparato tutto spiando un catalogo di intimo tra le lenzuola, guardando un VHS sfocato o una copia contrabbandata di Le Ore in prestito dalla cartoleria del cugino maggiore, e leggendo giornaletti vietati ai minori che sapevano di umidità, muffa e colpa.
Quando il sesso era mistero, e il mistero era educazione
Negli anni ’80 e ’90, l’educazione sessuale non era un diritto, era un’avventura. Non c’erano corsi di autodeterminazione fluida, ma missioni da agenti segreti in pigiama con pila a batterie mezze scariche, alla ricerca di riviste nascoste nei cassetti del nonno. Se eri fortunata, beccavi Playmen, Le Ore o Club International; se eri sfortunata, trovavi solo Intimità e ti toccava immaginare l’anatomia partendo dalle pubblicità più sexy.
Ecco perché, quando vidi per la prima volta Maria Rosa Pozzi, in arte Moana, con quella sua voce didattica da supplente cattiva e gli occhiali da pervertita borghese, fu come una conversione sulla via di Damasco. Con lei — e con Luce Caponegro, Julia Channel, e per noi femminucce, Franco Trentalance, Gabriel Pontello e il mitico Rocco Siffredi, benedetto sia il suo seme cinematografico — abbiamo imparato le parole giuste e i movimenti sacri.
Pornopedagogia clandestina: Freud, Lacan e… Selen
Secondo lo psicologo Bruno Bettelheim, nei suoi studi sull’infanzia e la sessualità (quelli che oggi verrebbero cancellati in 3 minuti per “contenuti problematici”), la scoperta della sessualità passa dalla fiaba al tabù, dalla repressione all’immaginario. Noi, invece, siamo passati da Biancaneve a La Zia Incaldina fa i compiti col cugino. Ed è stata una benedizione.
Lo psicoanalista francese Jacques Lacan, in una delle sue solite frasi oscure, disse: “La verità ha la struttura della finzione.” Ecco. La nostra verità era una finzione erotica su pellicola magnetica. Altro che “decostruzione del maschio tossico”: era costruzione della fantasia sessuale con strumenti artigianali.
Oggi i ragazzini cliccano su PornHub e vedono tutto. Tutto, subito, sempre. Nessuna tensione, nessuna scoperta, solo una sequenza ipnotica di buchi bagnati e suoni da allevamento intensivo. Nessuna costruzione del desiderio. Nessun gioco.
Il sesso prima del Wi-Fi era un atto di coraggio
Negli anni ’80 la parola “masturbazione” non si poteva nemmeno dire senza essere spediti dallo psicologo. Il sesso orale era materia mitologica e il ciclo mestruale un tabù da streghe. Ma proprio per questo, ogni cosa andava cercata, conquistata, compresa.
Il Postal Market era la nostra Enciclopedia Treccani del porno soft. Quei ragazzoni con gli slip stretti che “non nascondevano nulla”, con gli addominali da sogno bagnato e bicipiti che ti facevano vibrare anche il reggiseno che avevi rubato a tua sorella ma che in realtà mettevi solo per sentirti più grande. Quelle donne con i reggiseni con il ferretto, le sottovesti lucide e i body traforati che scoprivano più di quanto la Rai ci avrebbe mai mostrato. Nessuno di loro aveva pronome fluido, vulva pastello o addome androgino. Avevano addominali, muscoli, culo, tette e mistero. E noi andavamo in pappa
La sessuologia moderna? Una sciagura travestita da diritto
Ora arriviamo al punto. L’educazione sessuale moderna è una merda. Sì, l’ho detto. È una sequenza ipocrita di cazzate buoniste travestite da diritti civili. È il regno della sessuologia woke dove “tutto è lecito purché tu ti senta safe”, dove i “corpi non binari” devono essere rappresentati in ogni cartone animato e dove la penetrazione vaginale è un atto maschilista se non verbalizzato in 17 lingue.
Questa nuova ideologia sessuopolitica ha ucciso il desiderio, la tensione, l’avventura. Ha imposto il consenso scritto, le safe word, le lezioni di approccio affettivo e il “body positive” anche se pesi 190 chili e puzzi come un formaggio francese lasciato al sole. Una cultura che odia la pornografia, odia il maschio, odia la femmina, odia il sudore, odia il rischio. Ma ama i tutorial inclusivi.
E le colpe sono tante.
- La sinistra pedagogica, quella che ha distrutto l’idea stessa di educazione, preferendo formare esseri asessuati, senza pulsioni, senza identità.
- Il movimento arcobaleno, che ha preso la sacrosanta battaglia per i diritti civili e l’ha trasformata in una farsa performativa a base di glitter, crocs, e cartelli “love is love” sventolati tra le ascelle sudate e pelose.
- Internet, che ha sostituito la scoperta con la noia. Il porno è diventato come il cibo da asporto: lo ordini, lo consumi e ti senti in colpa.
E se tornassimo al desiderio? Quello vero, quello oscuro
Uno studio del prof. Jonathan Haidt, psicologo sociale dell’Università di New York, pubblicato nel 2023 su The Atlantic, dimostra che l’accesso precoce al porno online ha ridotto drasticamente l’interesse per il sesso reale nei giovani sotto i 25 anni. E lo credo. Non c’è competizione tra una chat su OnlyFans e la tensione di scoprire che tua cugina leggeva Confidenze nascondendosi nel bagno.
Secondo la prof.ssa Roberta Giommi, sessuologa (di quelle vere, non influencer di Instagram), “l’analfabetismo erotico moderno è una pandemia emotiva: si fa sesso senza sapere cosa sia il piacere”. Applausi. Ma tanto non la invitano mai nei talk show: non è abbastanza glitterata.
La pornografia come maestra e il VHS come talismano
I VHS erano i nostri grimori proibiti. Le cassette col bollino rosso registrate male, la testina sporca del videoregistratore, la paura che entrasse tua madre. Tutto questo costruiva tensione. L’ansia era afrodisiaca.
E i giornaletti? Quelli erano opere d’arte. I fumetti erotici come Dodo, Selen, Lando, Sukia, Maghella, Zora la vampira. Testi pieni di errori grammaticali, disegni volgari, ma anche una carica iconoclasta e libidica che oggi farebbe esplodere Twitter.
Conclusione (che non è un lieto fine): voglio tornare alla muffa, alla carta e al ferretto
Sogno un’educazione sessuale dove non si usano PowerPoint ma Polaroid, dove si imparano i baci sui diari segreti, dove la parola “vagina” non è inclusiva ma sensuale. Dove puoi ancora desiderare un uomo senza doverlo prima interrogare sui pronomi. Dove il sesso torna ad essere animale, misterioso, umano.
Ridatemi Moana, ridatemi Rocco, ridatemi il porno con trama (di merda), i reggiseni imbottiti e le mutande di pizzo. Togliete di mezzo la sociologia dei fluidi e riportate in classe la passione.
Perché io ho imparato cos’è il piacere tra le lenzuola della vergogna. E mi è servito più di mille “inclusivity workshop”.
E chi non capisce, può pure andarsi a infilare la propria identità di genere nel culo. Ma con consenso, eh. E lubrificante bio.
⛔️I VAFFANKULO UNIVERSALI™ ⛔️
Vaffankulo al consenso scritto in 17 lingue: Se prima bastava uno sguardo e una mano sudata, oggi serve una dichiarazione notarile controfirmata dal garante della fluidità. Vaffankulo. Vaffankulo alla sessuologia woke: Corpi non binari ovunque, ma nessuno che sappia cosa cazzo sia un orgasmo vero. Viva la tensione, viva la scoperta. Il resto è noia travestita da diritto. Vaffankulo al porno senza trama: Sì, anche le trame di merda erano meglio dell’attuale carneficina visiva su PornHub. Dove sono finiti gli idraulici arrapati e le segretarie un po’ zoccole? Vaffankulo al glitter, ai crocs e a “love is love”: Che poi, se l’amore è davvero amore, spiegami perché puzzi come una capra che ha corso una maratona nel deserto con addosso un tutù fluo. Vaffankulo alla maestra vegana con l’ukulele: Educazione sessuale non è suonare “Kumbaya” mentre spieghi i genitali usando pupazzi di feltro e avocados. È desiderio, rischio, mistero. Non brunch. Vaffankulo alla pornografia digitale senza sudore: Noi ci arrapavamo con la testina sporca del videoregistratore e la paura che entrasse la mamma. Adrenalina. Altro che Wi-Fi. Vaffankulo al body positive senza limiti: Se pesi 190 chili e non ti lavi, non è “accettazione”. È bioarma chimica da stanza singola. Non serve un talk show, serve il sapone E UNA DIETA. Vaffankulo a TikTok come fonte educativa: Se il tuo primo bacio l’hai imparato da un tutorial di una drag queen col fallo di gomma arcobaleno, mi dispiace: sei un algoritmo con le labbra. Vaffankulo alla sociologia dei fluidi: Sì, c’è chi cambia genere come cambia calzini. Ma io rivoglio le mutande di pizzo e i boxer attillati. E un po’ di identità fissa, almeno sotto le lenzuola. Vaffankulo a chi ha sostituito la fantasia con l’accesso immediato: L’attesa era libido, il desiderio era arte. Oggi clicchi e vedi tutto. Ma il piacere, quello, si è dato alla macchia.